Intervista a Piero Bassetti “La mia Schola italica a Venezia contro le regressioni nazionaliste”
Corriere di Verona
Venezia. Scrissero di lui che era un protoleghista venuto da un’altra epoca, confondendo il dichiarato culto intellettuale per Miglio e Cattaneo – ma anche per Sturzo e Feliciano Benvenuti – con l’appartenenza politica (che fu democristiana). Di sicuro, alla soglia dei novant’anni e dopo una vita in cui è stato quasi tutto – atleta olimpico, imprenditore, primo presidente della Regione Lombardia, deputato, presidente delle Camere di Commercio italiane – Piero Bassetti ha chiarissimamente individuato la bandiera che consegnerà, fra molti anni ancora, ai suoi eredi: quella dell’italicità.
Attenzione: italicità, non italianità. Può sembrare una sfumatura lessicale, invece la differenza è sostanza. L’italicità non è data da un passaporto o dall’appartenenza a un territorio – nel caso specifico, la Pensisola – bensì definisce una più ampia comunità fondata sulla condivisione di valori, interessi ed esperienze: l’italian way of life, per usare un’espressione internazionale. Ci stanno dentro, per intendersi, Cristoforo Colombo e i discendenti dei nostri milioni di emigranti, i ticinesi e i dalmati, gli italofili per scelta come Robert De Niro o George Clooney. «E pure Leonardo da Vinci -esemplifica Bassetti- che lavorò prevalentemente in Francia ed era di Vinci, in Toscana, non italiano».
Ci crede Bassetti al punto da avere costruito attorno al concetto di italicità una Scuola – la Schola Italica, per l’appunto – che aprirà domani sull’isola di San Servolo, nella laguna di Venezia, con un corso settimanale sviluppato lungo cinque ambiti tematici: l’arte (e l’alto artigianato), la musica, la moda, il design e la gastronomia, ovvero le aree di eccellenza riconosciute dell’italicità.
Che cosa vuole insegnare la Schola Italica?
Abbiamo calcolato che gli italici, nel mondo, siano almeno 250 milioni. A questa comunità, i cui componenti spesso non hanno nessuna voglia di diventare italiani, vorremmo trasmettere la consapevolezza di appartenere a una civiltà bi-millenaria, cresciuta nel solco di una tradizione politica che parte da Roma e ha prodotto anche la Serenissima. Insomma l’italian way of life è il portato di una storia molto più lunga e complessa di quella italiana.
Tre anni fa ne ha scritto il manifesto: Svegliamoci italici!, era il titolo
Esatto. Tre anni fa ho lanciato il messaggio e ora, attraverso la Schola, vorremmo dare la sceglia vera e propria.
Perché lei, milanese per nascita, professione e impegno civico, ha scelto di farla a Venezia?
Per due ragioni precise. La prima: dopo avere studiato Cattaneo, Miglio e Benvenuti, io ritengo che l’esperienza della Repubblica di San Marco costituisca un’eccellenza assoluta dell’italicità. La seconda ragione attiene alla centralità geografica mondiale della città: da qui passano ogni anno milioni di visitatori, con una forte percentuale di italici. Ci piacerebbe realizzare a Venezia un luogo dove gli italici di tutto il mondo vengono a sciacquare i panni in laguna, per così dire.
Lei ha posto il tema dell’italicità in tempi non sospetti. Nel frattempo, il globo intero -non esclusa l’Italia- sembra percorso da un’ondata di neo nazionalismi inarrestabili.
Gli Stati nazionali hanno finito il loro ciclo, di questo io sono assolutamente convinto, anche se la conclusione del percorso la vedranno i miei figli o i miei nipoti. Però dobbiamo stare attenti al fatto che, come dicono dalle mie parti, la gente prima di morire si sbatte: tradotto, stiamo assistendo a una regressione alla parte peggiore degli Stati nazionali, che è per l’appunto il nazionalismo.
Anche in Italia?
Sono pessimista, la nostra crisi di politica sarà lacerante. Il voto di marzo ha ribadito che siamo un Paese letteralmente spaccato in due. Prima stavamo comodi all’interno di un’Europa somma di Stati nazionali, adesso l’Europa è sfidata. Per esempio dalla Brexit, che dal mio punto di vista è stata una scelta giusta: gli inglesi, che generalmente capiscono queste evoluzioni prima e meglio di altri, hanno già la loro comunità di riferimento, il Commonwealth delle nazioni, 54 membri per oltre due miliardi di persone.
Qual è il territorio di riferimento per l’italicità?
Il territorio è la rete, non il pezzo di terra. Rete intesa come infrastruttura per mettere in relazione le persone, e infatti noi abbiamo creato allo scopo ItalicaNet, e rete nel senso di Internet, perché come si dice, quando sono nel mio sito sono a casa mia. Viviamo nell’epoca del glocalismo (Bassetti è presidente di un’organizzazione che, non per caso, ha chiamato Globus et Locus, ndr) e questo fenomeno è irreversibile. Ogni popolo sta cercando nuove dimensioni e noi italiani dobbiamo cercare la nostra senza limitarci ai confini della Penisola.
Gli italici, soprattutto qui a Nordest, potrebbero distinguersi, oltre che per lo stile di vita, anche lo stile di lavoro: è d’accordo?
Completamente. Infatti io parlo di Made by Italics, che è cosa diversa dal solito Made in Italy, perché identifica non soltanto i prodotti di qualità italica, ma anche le relazioni e lo scambio culturale che ne sono alla base. Proprio per queste ragioni alla Schola si parlerà di moda, di design e di modi di produzione. Stiamo proponendo al mondo un risveglio italico generale, che contempla anche il passaggio da una produzione in serie, tipica di altre culture industriali, alla logica del pezzo unico creato con cura artigianale. Questa è una linea culturale che gli italici, e i nordestini in particolare, possono insegnare al mondo.
Intervista del 09/09/2018 di Alessandro Zuin.
